Reduci da un album quanto meno deludente come “Madness” gli All That Remains erano attesi al varco dai tanti fans che si aspettando una decisa inversione di tendenza rispetto alle tentazioni melodiche di questo tanto discusso album. Le prime anticipazioni di “Victim of the New Disease” ci indirizzavano infatti in un ritorno alle origini metalcore (“Fuck Love” su tutte) e un generale abbandono dei troppi orpelli inseriti in fase di post produzione (arena rock style) che ha fatto inorridire tanti fan della prima ora. La morte improvvisa del chitarrista fondatore Oli Herbert a poche settimane dalla pubblicazione dell’album ha raffreddato ovviamente gli entusiasmi per un album che possiamo vedere come una versione riveduta e corretta di “Madness”: non mancano le parti melodiche, alcune parecchio ostentate, ma vengono tralasciate per fortuna quelle soluzioni smaccatamente commerciali (parliamo delle pseudo ballad e suoni elettronici davvero mal gestiti) che onestamente non fanno parte del dna della band. “Victim of the New Disease” ha il grande pregio di rimettere in carreggiata gli All That Remains dopo un album davvero troppo distante dall’essenza della band che nonostante l’improvviso lutto vuole lottare con grinta e determinazione per riprendersi lo scettro di miglior metalcore band in circolazione. Missione difficile ma non impossibile se si riparte da un disco completo e ispirato come “Victim of the New Disease”.
Victim of the New Disease (2018 – Eleven Seven Music)