Il 5 novembre appena trascorso è stato un appuntamento fondamentale per tutti i fan degli Architects: una delle migliori metalcore band dello scenario attuale tornava infatti a calcare i palchi italiani per due date, ad alcuni mesi di distanza dall’ultima comparsata di supporto agli australiani Parkway Drive in quel di Milano. L’appuntamento con Sam Carter e soci si caricava però in quest’occasione di un significato speciale, in grado di trascendere quello del semplice concerto: come infatti è noto, il gruppo di Brighton ha dovuto recentemente affrontare la dipartita del chitarrista Tom Searle, tra i fondatori della band e autore principale di album di assoluto pregio, entrati di diritto nell’elenco dei migliori dischi metalcore degli ultimi dieci anni.
Spentosi dopo una lotta di tre anni contro un tumore che non gli ha lasciato scampo, Tom è stato un punto di riferimento per un intero panorama musicale, dando un contributo fondamentale all’affermazione degli Architects come una delle realtà più rappresentative del modern metal attuale. Ed è proprio alla luce di ciò che la band inglese ha scelto di intraprendere il tour europeo a supporto dell’ultimo album in studio All Our Gods Have Abandoned Us: il modo più diretto per rendere onore all’amico scomparso, portando sui palchi in qualità di headliner le ultime canzoni scritte prima di un tragico epilogo.
Manca circa un quarto d’ora alle 21 quando la prima band del programma fa il suo ingresso sul palco del New Age di Roncade: tocca ai britannici Bury Tomorrow il compito di inaugurare una serata ad alto tasso emozionale, e il compito viene svolto in maniera egregia. Una manciata di brani (sei per la precisione) con cui il pubblico sottopalco ha già modo di riscaldarsi prima del piatto forte, tra mosh pit e singalong; l’apertura affidata a Man On Fire mette da subito in chiaro di che pasta siano fatti i 5, capaci di proporre uno show professionale e dai suoni massicci, con voci pulite mai stucchevoli e mura di suono davvero imponenti. Il set si conclude in fretta con la title-track dell’ultimo album Earthbound ma il giudizio è più che positivo: i Bury Tomorrow si confermano una delle realtà più interessanti del metalcore made in UK, capaci di unire melodia e sonorità heavy all’insegna di un alto tasso tecnico.
Sono circa le 21 e 45 quando il testimone passa ai californiani Stick To Your Guns, un punto di riferimento nell’attuale scena hc a stelle e strisce che ha recentemente pubblicato l’EP Better Ash Than Dust dopo il proprio ingresso nella scuderia di Pure Noise Records: dieci i pezzi in scaletta, variando tra uscite più recenti (il già citato EP e l’album Disobedient del 2015) e brani più lontani nel tempo (la «classica» Amber e pezzi di Diamond del 2012). I 5 dell’Orange County sono oramai dei veterani e lo dimostrano imbastendo uno spettacolo muscolare, carico di energia e in grado di unire ruvidezza in salsa hardcore a linee melodiche chiare e definite, senza mai perdere di vista l’attenzione per un impatto sonoro deciso. Per chi non li avesse mai visti live, ne vale davvero la pena.
Arriviamo così al momento più atteso, ovviamente quello dell’headliner: gli Architects fanno la propria comparsa sul palco del piccolo club trevigiano alle 23 meno un quarto, e subito il pubblico esplode in un boato che anticipa l’apertura assassina affidata a Nihilist: bastano pochi secondi per avere l’ennesima conferma del talento della band inglese, che macina ritmiche martellanti e riff senza incertezza alcuna; se il comparto strumentale è una macchina da guerra all’attacco, lo stesso si può affermare per Sam Carter, ormai uno dei migliori screamer attivi sulla piazza, in grado di reggere perfettamente una scaletta di ben 16 brani (numero non certo ristretto per una band del genere). Per più di un’ora la platea del club si tramuta in un campo di battaglia, pronto a deflagrare su brani come The Devil Is Near, Grave Digger e Broken Cross, fino alle più recenti Phantom Planet e Downfall: una set-list varia che non dimentica anche il passato della band (con una graditissima Early Grave) e una perla quale l’immancabile These Colours Don’t Run.
Chiusura perfetta, con la scelta non casuale di Gone With The Wind, uno dei migliori brani dell’ultima fatica discografica degli inglesi: un testo già di per sé toccante, ma che lo diventa ancora di più alla luce del ricordo affettuoso di Sam e del resto della band per l’amico scomparso («Uno dei più grandi artisti della nostra generazione[…] non è facile per noi essere sul palco ogni sera senza di lui»). Il pubblico risponde intonando a gran voce il nome del chitarrista, e sul volto dei musicisti presenti è possibile leggere una sincera commozione: forse il momento migliore di una serata dove la musica, seppur di altissimo livello, è finita per passare in secondo piano, in favore del ricordo di un grande artista capace di aver impresso il proprio marchio su un’intera scena musicale. Gone, but not forgotten. [Antonio Margiotta]
Voto show: 9