Nuovo album per il collettivo di stanza in Connecticut e, come si suol dire, il terzo album dovrebbe rappresentare il disco della consacrazione: i Boundaries ne hanno fatta di strada, e certamente negli ultimi anni si sono tolti molte soddisfazioni sia negli States che nel vecchio continente. Con un disco che prende spunto niente meno da un concetto espresso dal nostro Dante Alighieri (come spiegato ampiamente nei vari press kit, “morire sarebbe un poco peggio che vivere in un’amara foresta nera dell’esistenza”), i Boundaries ci propongono un disco aggressivo e chirurgico nell’applicare le sonorità metalliche ad un solido e dinamico hardcore. Merito di un suono di chitarra davvero tagliente ed incisivo, di stop and go lancinanti (vedi “A Pale Light Lingers”, dove vengono anche abbracciate influenze al limite del modern metal) e una prova vocale completamente travolgente (Matthew McDougal nelle parti feroci e qualche incursione nel melodico a cura del batterista Tim “Cheese” Sullivan). Una manciata di ospitate (su tutti Matt Honeycutt dei Kublai Khan nella groovy “Blood Soaked Salvation”) completano il “pacchetto”: “Death Is Little More” forse non passerà alla storia sotto la voce “capolavoro” e non è neanche il disco che farà esplodere i Boundaries, di certo però ci troviamo di fronte ad una prova maiuscola, a volte derivativa, ma sincera e meritevole di attenzione.
Death Is Little More (2024 – 3DOT Recordings)