La classe e il genio “calcolatore” di Jay Z, al secolo Shawn Carter, si mostra in tutta la sua grandezza in questo “4:44” nuovo album pubblicato con modalità simili al precedente “Magna Carta Holy Grail” (questa volta l’uscita è legata ad una anteprima sulla piattaforma Tidal) e che prometteva di essere una lettera aperta di scuse, in primis alla amata e tradita Beyoncé. Le scuse ci sono ma Jay-Z non è persona banale e l’intero disco ruota su una sorta di personalissimo flusso di autocoscienza che lo porta a rivedere il suo passato (“Legacy” e “Smile”), la questione afroamericano negli States (“The Story of O.J.”) senza dimenticare appunto la moglie tradita (“4:44”), sorta di risposta al famigerato “Lemonade” di Beyoncé. L’iniziale “Kill Jay Z” ci da comunque una interessante chiave di lettura dove il buon S.Carter si prende tutte le colpe da martire dell’hip hop per rigirare a proprio favore una situazione potenzialmente rischiosa per la sua immagine negli ancora bigotti USA dell’anno di grazia 2017: un businessman di razza che promuove il suo ego e riesce a convincere anche con questo tredicesimo album che musicalmente, oltre ad un flow sempre esteticamente riconoscibilissimo e tecnicamente perfetto, mostra una certa rilassatezza nei toni fino a concedersi disgressione nel reggae in “Bam” dove vediamo la partecipazione del più talentuoso figlio di Bob Marley, Damian. Non il miglior disco di Jay-Z in senso assoluto ma un ottimo modo per entrare nella psicologia di Mister Shawn Carter.
4:44 (2017 – Roc Nation)