Abbiamo scambiato quattro chiacchere con Roberto Sterpetti ed Erk Scutti, entrambi attivi nel KLEE Project. Di che si tratta? Di una sorta di “all-stars” band, che vede al suo interno diverse partecipazioni molto interessanti. Con un disco d’esordio in arrivo ecco a voi un’anteprima di ciò che sarà…
A meno che non abbiate abbreviato chissà quale strano termine, credo che il vostro nome si rifaccia al famoso pittore. Se ho azzeccato il tutto ci spiegate quale collegamento c’è tra la vostra proposta e il suo lato artistico?
Innanzitutto vorremmo ringraziarvi per lo spazio dedicatoci. Come hai notato, il riferimento al monicker della band va chiaramente a Paul Klee, pittore che ha dato il maggior contributo a una nuova pittura con una grande personalità artistica ricca e multiforme, nonché eccellente violinista e amante della musica classica. Da sempre siamo affascinati dalla sua pittura e in particolar modo dal suo dipinto “Eros” per l’accostamento cromatico tra i colori freddi e caldi e per l’intenso dinamismo. Ci siamo resi conto che tutto ciò si sposava perfettamente con la musica che stavamo scrivendo: un sound che racchiudeva le nostre varie influenze, atmosfere multiforme e un viaggio musicale ben preciso.
Di voi al momento si sa molto poco, ciò nonostante potremmo dire che state lavorando nell’ombra, con un disco credo ormai pronto. Quali sono i passi che farete nei prossimi mesi e cosa vorreste ottenere attraverso questo disco?
È in fase di realizzazione il primo videoclip del singolo “Everybody Knows”, che sarà diretto da Carlo Roberti di Solobuio Visual Factory. Ci stiamo prendendo i nostri tempi per fare la scelta migliore anche a livello discografico. Non vediamo l’ora che il pubblico possa ascoltare “The Long Way” e soprattutto venirlo a cantare con noi durante i nostri show.
Il disco ha un titolo ossia “The Long Way”. Come descritto nella vostra bio si tratta di un concept album legato a un viaggio intrapreso da un musicista alla ricerca di notorietà e allo stesso tempo a una situazione sentimentale. Come è nato questo concept e quanto vi ha influenzato la scena hard-rock statunitense, da sempre attentissima a queste tematiche (specie le band anni ’80)?
La voglia di esprimere qualcosa che ci rappresentasse dal punto di vista musicale ma anche da quello personale è sempre stato un nostro obiettivo. Dal punto di vista lirico ci siamo accorti, a metà lavoro, che involontariamente stavamo seguendo una strada ben precisa, stava nascendo un concept album e abbiamo deciso di ultimare la storia con questa idea. E’ la storia tra presente, passato e futuro di un giovane musicista, che parte da Memphis con la sua chitarra percorrendo la vecchia Route 66 direzione L.A. per cercare fortuna con la sua musica. Sicuramente la scena hard-rock anni ‘80 ha avuto un peso rilevante, ma anche la musica elettronica di quegli anni, l’alternative metal e il southern dei nostri giorni.
La storia può essere vista come autobiografica? Visto che voi stessi siete tutti musicisti navigati e desiderosi di portare in auge questo progetto…
Il concept riflette il desiderio di realizzare il proprio sogno ad ogni costo, amicizia, vendetta, compromessi, successo, quella fama che una volta raggiunta porta a perdersi per poi fuggire e ricominciare tutto da zero, con la passione della prima volta. A fare da contorno al tutto, c’è una bella storia d’amore, tra passione, desiderio, unione e distacco, fino a ritrovarsi l’uno per l’altra attraverso una nuova vita che nasce e completa il viaggio del protagonista. E’ un po’ la storia di tutti coloro che vogliono lasciare un segno con la loro musica e certamente, con le sfumature che contraddistinguono il percorso di ognuno di noi, può considerarsi autobiografico.
Ascoltandolo ho notato soprattutto la cura posta su ogni singolo particolare. Nulla sembra essere stato lasciato al caso, dalla produzione al songwriting stesso, che spazia da scenari rock ad altri più attinenti al metal per poi passare al southern. Quanto tempo e fatica vi è costato questo lavoro? E soprattutto come si arriva a ottenere una simile alchimia di gruppo visto che la line-up è composta principalmente da musicisti già al lavoro su altri progetti?
E’ stato tutto molto spontaneo, visto che la composizione dei brani ha richiesto soltanto un mese di lavorazione serrata in studio. Altresì è vero che per la realizzazione del progetto, sono stati necessari ben quattro anni di lavoro, perché non volevamo lasciare nulla al caso. Curare gli arrangiamenti e i suoni nella maniera più dettagliata possibile è stata una nostra priorità. La musica doveva seguire perfettamente quello che noi avevamo dentro, ma doveva anche descrivere in maniera perfetta i sentimenti del nostro protagonista. Anche se i musicisti erano coinvolti su altri progetti, hanno dimostrato da subito l’interesse a partecipare al KLEE Project. Essendo amici da tempo è risultato tutto molto spontaneo e in fase di registrazione siamo riusciti a tirar fuori il meglio di ognuno di noi per la realizzazione dell’album.
A proposito della line-up: in formazione sono presenti elementi presi da diversi scenari musicali, si va da musicisti operanti nell’ambito del pop-rock ad altri più “dentro” la scena alternative. Mi spiegate come si è arrivati a formare un gruppo così vario e al tempo stesso affiatato nel portare a termine un disco del genere?
Le nostre esperienze artistiche a livello professionale maturate negli anni, ci hanno permesso di coinvolgere una serie di amici che eravamo sicuri potessero definire in maniera inconfondibile il sound del progetto: Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alle chitarre, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso e Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, nonché una vera orchestra sinfonica diretta e arrangiata dal Maestro Francesco Santucci, che ci ha deliziato con un solo di sax sulle chitarre di Massimo Alviti nella reprise di “Lucrezia’s Night”. Inoltre abbiamo avuto il contributo di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend), che ha arrangiato magistralmente il violoncello su “Hereafter”. Volevamo solo il meglio!
La domanda suonerà scontata, ma come bisogna considerare il Klee Project? Uno studio project oppure una band che avrà una sua dimensione anche dal vivo, magari con altri musicisti all’opera?
È un progetto che sicuramente nasce in studio, nel quale Roberto ed Erk sono i mastermind, ma sicuramente il KLEE Project è anche un live act. Come hai fatto giustamente notare, siamo tutti impegnati in vari percorsi discografici e sarebbe certamente bello poter portare dal vivo la formazione originale, ma se questo non fosse possibile, “we can’t stop the music” e troveremo delle valide alternative.
Immagino che la cosa più complessa sia stata far quadrare i tempi in fase di composizione e registrazione, avendo musicisti sparsi per l’Italia. Come sono andate le cose e come avete programmato la lavorazione del disco?
Come detto in precedenza per il progetto sono stati necessari ben quattro anni di lavoro. Le registrazioni sono state programmate a step in base alle esigenze personali. La ricerca di un sound ben preciso è quello che ha richiesto maggior sforzo. Per questo ci siamo affidati per il mix a Francesco Altare, che ha saputo valorizzare le composizioni in maniera eccellente dandogli il giusto “punch”. Per il mastering non potevamo non affidarci a Riccardo Parenti, col quale collaboriamo da anni, che nel suo Elephant Mastering ha dato alla grande quel vibe analogico, ma cristallino che desideravamo. Abbiamo anche una vinyl version, dato che sta tornando in voga.
Avete qualcosa da raccontare a proposito del disco o della band che ancora nessuno vi ha chiesto?
Di aneddoti ne avremmo molti da raccontare. Quello che ci piace raccontare è quando Gabriele Ravaglia dei Fear Studio è arrivato a Roma per curare le riprese delle chitarre del disco. La sua station wagon era carica di amplificatori, casse e chitarre. La strumentazione sembrava non finire mai e ad un certo punto ci siamo resi conto che non si poteva più camminare in studio. Avevamo l’imbarazzo della scelta!
L’Italia in un caso come il vostro vi va stretta? Non avete mai pensato che forse all’estero ci sarebbe più attenzione verso un progetto del genere?
Il KLEE Project è chiaramente un progetto internazionale. Al giorno d’oggi la musica non ha confini e vogliamo che arrivi a più persone possibili.
Immagino stiate (o magari siete già nel bel mezzo) per intraprendere quel lungo e vorticoso cammino che porta una band a confrontarsi con qualcosa che ha ben poco di artistico, ossia tutta quella parte legata al mondo del music business, quindi labels, uscita del disco e via dicendo… Con che spirito affronterete questo percorso e quali sono i desideri che vorreste coronare attraverso un ipotetico deal?
Siamo molto tranquilli sotto questo profilo perché stiamo valutando varie proposte ed il nostro desiderio è quello di scegliere in maniera ponderata il deal che possa permettere al KLEE Project di essere valorizzato ancor più nel futuro.
Guardiamo avanti: come vi vedete tra un anno esatto?
Ci vediamo sul palco a cantare le nostre canzoni con il nostro pubblico durante i live show e a scrivere nel tempo libero il secondo album.
Grazie ancora per l’intervista, a voi la chiusura!
Grazie per questa intervista esclusiva e come sempre a tutti gli amanti del rock/metal moderno, aspettate ancora un poco e vi assicuriamo che impazzirete per il Klee Project! Un saluto da Roberto ed Erk… Rock On!