Longshots – Between Two Fronts (DIY)
Hard rock quadrato e senza troppi fronzoli (no frills!) per i Longshots, quartetto di Salonicco che pubblica indipendentemente questo EP di quattro brani intitolato “Between Two Fronts”. Voce femminile, basso onnipresente e pulsante, strutture tutto sommato prevedibili ma godibili: questo il sunto di un lavoro tutt’altro che disprezzabile che mostra buoni spunti (“Hidden Figures”) e discreta attitudine.

Oh The Humanity! – Ground To Dust (Thousand Island Records/
Engineer Records)
La band del Massachusetts, dopo una breve intro, arriva subito al dunque con un punkcore veloce e grintoso che ci regala una carica incredibile. “Upper Riffspiratory Infection” e “Gutted” suonano ugualmente sferraglianti e melodice, come da grande tradizione made in USA. Un lavoro egregio dietro alla console (ritroviamo infatti una vecchia volpe del genere come Trevor Reilly dei A Wilhelm Scream), fa spiccare al volo ad una tracklist virtualmente perfetta.

Damn City – Pop Torture (DIY)
Ritrovare oggi i Damn City in forma smagliante con questo “Pop Torture” è rinfrancante: la prima immagine che ci viene in mente della band di Bologna è pre Covid, e precisamente su qualche palco a portare il loro aggressivo crossover con tutta la determinazione del caso. Oggi i Damn City cambiano pelle, portando la loro versione di crossover a livello 2.0: incrementando in primis l’utilizzo della lingua italiana (con alcuni testi che colpiscono in pieno stomaco, vedi i riferimenti alla strage di Bologna), portando all’estremo, sia la parte prettamente hiphop e sperimentale (vedi “Garisenda”) che in quello più aggressivo e in your face con “Malebranche” (con featuring dei Fulci). Ottimo ritorno.

Watching the Abyss – S/T (Warmusic Management)
Il nuovo millennio ci ha portato in dote un metal moderno, che si declina dal nu al metalcore più imbastardito e meno intransigente e tutto quello che ci passa in mezzo, che ha tracciato un solco determinante per tante scene tra le più sfaccettate. I Watching the Abyss, come avrete intuito, debuttano con un disco di modern metal piuttosto convincente, con una produzione tra il ruvido e il “rotondo” che enfatizza una serie di brani che passano dagli Adema (questa è per intenditori!) più robusti (cfr. “Gravity”) o soluzioni più vicine al metalcore. Debut riuscito e piacevole.

BRKN Love – The Program (Spinefarm Records)
Canadesi di belle speranze, i BRKN Love ci propongono un dischetto molto piacevole in bilico tra l’alternative rock made in UK (ricordando a volte le melodie degli scozzesi The Snuts) riproposti con la sensibilità tipicamente americana dei Black Keys o dei White Stripes. Stranamente il mix funziona bene, e le sette canzoni proposte in questo lavoro, pur non spiccando per originalità, girano in modo egregio basandosi sulla classica formula strofa/ritornello/strofa. “Cruel” vince senz’altro la palma di brano più immediato e riuscito.
