“Bloom The Ego” mostra al meglio le doti di songwriting degli Ultima, italianissima band che ci regala un disco zeppo di interessanti spunti in area djent/core. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la band per tastare il polso a qualche mese dalla pubblicazione dell’album.
Ciao ragazzi, bentornati sulle pagine di Suffer Magazine. Il vostro nuovo album “Bloom The Ego” è ormai fuori da circa alcuni mesi, che feedback avete ricevuto da fan e addetti ai lavori e quali invece sono le vostre impressioni ora sul lavoro fatto?
Ciao ragazzi! è un piacere scrivervi ancora! C’è stato un feedback molto positivo e siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti. Nonostante ciò abbiamo anche avuto modo di capire cosa e dove possiamo migliorare, cercando di andare incontro alle esigenze di cui questo genere necessita.
Di questo disco mi è piaciuto molto il senso di ricercatezza. Ogni traccia sembra godere di vita propria, prendendosi un suo spazio specifico nella tracklist senza al tempo stesso risultare isolata dalle restanti canzoni. Come avete organizzato tutta la fase di songwriting e quanto è stato complesso metter insieme nella tracklist brani spesso molto diversi concettualmente l’uno dall’altro?
Il songwriting è sempre rimasto quello: non seguiamo mai uno schema predefinito, andiamo sempre dove ci porta il mood e l’enfasi del momento. La tracklist invece l’abbiamo decisa a tavolino tutti assieme, cercando di mantenere una sorta di armonia tra un brano e l’altro, dividendo il disco in due parti grazie al brano elettronico ‘Mammoth’ in maniera da non risultare troppo pesante e ripetitivo all’ascoltatore.
Ricordo che nelle band citate come influenti nel vostro percorso nominaste Periphery, Tesseract e Veil Of Maya. Personalmente escluderei i primi due nomi inserendoci Between The Buried And Me, soprattutto nel lavoro svolto sulle parti vocali. Siete d’accordo?
No, non siamo d’accordo. Ad essere onesti non li abbiamo mai ascoltati più di tanto, ma approfondiremo perché non siete i primi a dircelo. Se dovessimo togliere uno dei 3 gruppi citati toglieremmo i TesseracT per inserirci i Monuments, i quali effettivamente hanno avuto molta influenza su di noi all’interno del lavoro in questione.
Sempre a proposito delle parti vocali, ci raccontate in primis i temi trattati nei testi e infine come siete soliti inserire queste parti all’interno di strutture sonore così articolate?
I temi variano esattamente come varia il mood nostro e della canzone. Abbiamo parlato del disastro di Chernobyl in ‘Wolves’, della vita dopo la morte in ‘Four Mornings’, della timidezza in ‘I Won’t Hide’. ‘Hybrid Peach’ racconta più banalmente la vita notturna in clima di festa, ‘Out Of bounds’ invece parla più seriamente di un amore non corrisposto di un uomo per una donna. ‘Bottleneck’ racconta dell’ego malvagio dell’umanità, ‘The Seraph’ invece discute della forza interiore tramutatasi successivamente in motivazione, come anche ‘My Story Is Yours’ dove questa volta è stata la perdita di una persona cara a portarci ad essere motivati a far di meglio.
Ho notato poi nel disco la coraggiosa scelta di inserire a metà tracklist una sorta di intermezzo puramente elettronico. Scelta a mio avviso riuscita. Pensate possa essere un percorso – quello legato all’elettronica – su cui contare anche in chiave futura?
L’elettronica è sempre stata parte integrante del nostro genere e stile, sicché di sicuro ci conteremo anche in futuro. L’integrazione dell’elettronica all’interno del metal moderno è una formula a nostro avviso devastante e della quale non ci priveremo assolutamente, soprattutto nell’immediato futuro…
In fatto di songwriting, come nasce un vostro brano?
Dipende. Non siamo legati a un solo metodo di composizione. Noi siamo dell’idea di andare dove ci porta l’ispirazione del momento perché ci siamo resi conto che se ci impuntiamo su qualcosa in particolare il risultato non sarà mai quello desiderato. Mentre se ci si fa trasportare l’effetto è molto migliore ed oltretutto ci si diverte molto di più. Può capitare che ci troviamo a comporre tutti in sala prove, può capitare che un brano l’abbia fatto per intero il cantante, o il chitarrista. Persino il batterista si presenta con strutture intere e idee melodiche in mente. Lasciamo aperta ogni tipo di porta che può portarci al raggiungimento di un risultato.
Registrazione e produzione si sono svolte agli Inverno Studios di Fabrizio Gesuato, nome noto a chi bazzica nell’underground italiano per la sua militanza nei The Big Jazz Duo. Come vi siete trovati a lavorare con lui e quali spunti ha donato a vostro avviso di suo al sound/disco degli ULTIMA?
Con Fabrizio ci siamo trovati bene perché è una persona splendida ed onesta. Gli abbiamo detto da subito quale sound e come volevamo determinate cose e lui ha usato tutti i suoi mezzi per esserci d’aiuto.
Arriviamo al tema live: siete riusciti a promuovere il disco dal vivo durante l’estate? Se sì, come è stata la risposta del pubblico? Avete in cantiere qualche show per l’autunno/inverno?
Quest’estate non abbiamo avuto molto modo di fare live, tranne per un concorso in cui siamo arrivati in finale, ma quest’ultima dobbiamo ancora “giocarla”. In più non c’è stato molto tempo perché stavamo e stiamo ancora organizzando il nostro release party che si terrà il 7 ottobre all’Improve di Castelfranco veneto insieme ad altre 3 band di livello. Per Non parlare del fatto che abbiamo già registrato cose nuove quest’estate…
Bene, siamo giunti al termine dell’intervista, pertanto a voi lo spazio finale!
Ciao raga! È stato un onore partecipare a quest’intervista. Vogliamo ringraziare tutto lo staff di Suffer Magazine e ci auguriamo di sentirci anche nel prossimo futuro! E occhio a tutta la scena underground metal italiana, perché qualcosa si sta muovendo. Guardiamo in faccia alla realtà: dei gruppetti “piripiri” ne abbiamo tutti le scatole piene. Cheers!
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